XVIII ENCUENTROS EMPRESARIALES DE ASTURIAS. Agrupaciones Innovadoras: Modelos de cooperación avanzada

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1 XVIII ENCUENTROS EMPRESARIALES DE ASTURIAS Agrupaciones Innovadoras: Modelos de cooperación avanzada

2 EXPERIENCIAS EUROPEAS DE AGRUPACIONES EMPRESARIALES INNOVADORAS GIORGIO DONATI

3 I Distretti Produttivi dall origine alla delocalizzazione. La peculiarità italiana. Il modello della Regione Marche La dinamica dell industria nella cultura occidentale è storicamente basata su due fondamentali modalità di organizzazione e produzione dei beni: da una parte la produzione di massa, che vede la grande impresa utilizzare macchine e tecnologie standardizzate per una produzione seriale, dall altra la specializzazione flessibile, articolata su piccole unità organizzative in grado di fabbricare beni in piccoli lotti, con caratteristiche quasi artigianali. Negli anni Ottanta del secolo scorso si prospettò il limite del tipo di produzione di massa, incentrato sulla serialità, e del ruolo fondamentale della catena di montaggio, vincolato alle dinamiche delle grandi industrie. La realtà chiedeva produzioni flessibili, più articolate e differenziate, con elevata qualità di base che crea sviluppo tecnologico. A questo punto i distretti produttivi diventarono oggetto di grande considerazione. Nella seconda metà del secolo XIX l economista inglese Alfred Marshall per primo aveva identificato e analizzato un sistema produttivo locale che si riferiva alle industrie tessili del Lancashire e a quelle metallurgiche di Sheffield in Inghilterra, alla lavorazione della seta a Lione in Francia, alla produzione di manufatti metallici a Solingen in Germania, alla lavorazione della lana a Prato in Italia. Tale tipo di produzione lo chiamò cluster, poiché si trattava di un tipo di organizzazione industriale incentrato sulle produzioni artigianali, in strutture specifiche, con una ricerca costante di innovazione e in zone geografiche di estensione limitata. Per Marshall il cluster (distretto industriale) rappresenta una modalità efficiente di organizzare la produzione, alternativa a quella della grande industria, in quanto consente alle imprese di mantenere piccole dimensioni senza rinunciare ai vantaggi derivanti dalla divisione del lavoro e dalla specializzazione produttiva. Infatti, se il processo produttivo risulta scomponibile in fasi distinte che possono essere svolte da attori differenziati, nel distretto la suddivisione del lavoro può avere luogo tra diverse piccole imprese, giuridicamente ed economicamente autonome, le quali si specializzano spontaneamente, ciascuna per una distinta fase di lavorazione, utilizzando macchinari e competenze specializzate, che mettono a disposizione delle altre imprese operanti nel territorio. I distretti produttivi italiani sono in parte assimilabili alla forma del distretto marshalliano o cluster, poiché si sviluppano su di una economia di agglomerazione in essi presente. Mentre, però, i clusters sono caratterizzati dall essersi sviluppati vicino ad una tipica fonte di produzione (mineraria) o ad una grande industria preesistente o a tutte e due, i distretti produttivi italiani sono sorti spontaneamente per dei fattori sociologici. Essi, infatti, dipendono dall appartenenza delle imprese ad un territorio circoscritto a pochi comuni

4 limitrofi, con una connotazione fisica, storica, sociale e culturale ben determinata. Il distretto italiano risulta così formato da un gran numero di imprese, prevalentemente di piccole e a volte piccolissime dimensioni, caratterizzate di norma dall essere di proprietà familiare e dalla partecipazione diretta dell imprenditore e della sua famiglia all attività produttiva. Tra queste imprese si delinea un sistema originale di relazioni (soprattutto verticali tra imprese complementari della filiera) che combina cooperazione e competizione di mercato. Questo mix di cooperazione e di competizione tra le imprese del distretto: a) mantiene estremamente flessibile il sistema di produzione; b) contribuisce ad abbassare i costi di produzione; c) stimola l innovazione continua anche attraverso i processi di imitazione reciproca; d) permette un coordinamento delle attività complementari; e) genera economie esterne che possono essere condivise, perché sono di interesse comune. La capacità di interscambio di conoscenze e informazioni in ambiti territoriali ristretti, tra attori che si conoscono personalmente, consente una vantaggiosa cooperazione interaziendale. Il distretto produttivo italiano è un luogo territoriale dove le economie di scala, tipiche della grande impresa, venivano validamente sostituite dalle economie esterne, cioè da economie derivanti dal contesto economico-sociale di alcuni territori privilegiati. In questi territori, l abbondante offerta di fattori contestuali di crescita (artigianato di qualità; manodopera ad alto contenuto di conoscenze cumulate; imprenditorialità diffusa; accesa concorrenza, ma anche collaborazione tra imprese; continua innovazione di processo; rapida circolazione delle informazioni; alto tasso di imitazione; etc ) compensava i vantaggi dell integrazione verticale della filiera produttiva propria delle grandi imprese, preservando al contempo la qualità della vita. I caratteristici distretti produttivi italiani hanno trasformato un Paese povero, proletario, ad economia agricola, distrutto per essere stato teatro della II guerra mondiale a diventare la sesta o la quinta economia più industrializzata del mondo. Per comprendere l origine e la peculiarità di questo fenomeno quasi miracoloso, bisogna risalire allo stato della socio-economia italiana alla fine della seconda guerra mondiale. Essa era prettamente agricola, ma diversificata in tre macroregioni: I) nel sud della penisola l economia era totalmente agricola, arretrata, basata sul bracciantato e sul latifondo con gli addetti che vivevano in condizioni precarie in agglomerati urbani fatiscenti da cui ogni mattina si recavano al lavoro nella parte del feudo di loro competenza, rientrando al tramonto a volte da notevoli distanze; II) nel nord-ovest, nel triangolo compreso tra Milano, Torino e Genova era concentrata la quasi totalità dell industria pesante e leggera della Nazione;

5 III) nel centro e nord-est, in questa terza Italia, vigeva il sistema agricolo della mezzadria. Grazie al Piano Marshall iniziò la ricostruzione del Paese e delle sue infrastrutture e quindi per parecchie aziende italiane si aprirono nuovi orizzonti, sia per l afflusso di macchinari che del Know How americani. Con l industrializzazione fordista (la produzione automatizzata di beni di consumo) iniziò la meccanizzazione delle campagne. Essa, insieme agli alti livelli di disoccupazione degli anni 50, permise che la domanda di lavoro superasse abbondantemente l offerta mantenendo basso il costo del lavoro e dei salari e creando un eccedenza di manodopera che diede origine a fenomeni di emigrazione sia esterna che interna al Paese, con un rimescolamento senza precedenti della popolazione italiana. L elevata produttività, l assenza fino alla fine degli anni 60 di una significativa organizzazione sindacale, la stabilità monetaria, la mancanza di controllo fiscale sul mondo degli affari, il mantenimento di un tasso di sconto favorevole da parte della Banca d Italia, furono tutti elementi che aiutarono a creare le condizioni per l accumulazione del capitale e il suo successivo investimento nell industrializzazione. Così tra il 1958 e il 1963 si assistette all inizio di una rivoluzione che doveva capovolgere il sistema sociale italiano. In meno di due decenni l Italia cessò di essere un Paese con forti componenti contadine, diventando una delle Nazioni più industrializzate del mondo occidentale. Il paesaggio rurale e urbano, così come le dimore dei suoi abitanti e i loro modi di vita, cambiarono radicalmente. L Italia fu in prima linea nell espansione e nell integrazione economica dell Europa. Nel centro e nel nord-est del Paese lo sviluppo sociale ed economico fu radicalmente diverso rispetto a quello che si verificò nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova o nel sud. Le famiglie mezzadrili divenute proprietarie dei terreni a partire dagli anni 50, grazie a una politica di sostegno da parte dello Stato, non ricavarono da essi una nuova prosperità a causa dei bassi prezzi dei prodotti nel mercato e della mancanza di capitali necessari a compiere le migliorie indispensabili. Esse, però, non abbandonarono le nuove proprietà, ma cercarono di diversificare le fonti di reddito. La generazione più anziana continuò ad occuparsi della terra per soddisfare le necessità familiari, piuttosto che produrre per il mercato, mentre i giovani partirono per trovare fortuna altrove, nei centri urbani. Essi trovarono inizialmente lavoro come operai e artigiani, ma ben presto decisero di mettersi in proprio e, per sopravvivere e ingrandirsi, questi giovani artigiani-industriali dei primi anni 60 si affidarono alle risorse e all esperienza della propria famiglia con risultati sorprendenti. Si può dedurre, quindi, che la condizione di mezzadro sia stata la causa scatenante del fenomeno distrettuale, proprio per l elevata propensione all imprenditoria dei coloni di queste terre. Infatti il retaggio dell istituto della mezzadria, la presenza di un artigianato caratteristico e il familismo sono le tre condizioni essenziali di questo successo che costituiscono la condizione necessaria all industrializzazione della Terza Italia, caratterizzata dalla

6 diffusione delle fabbriche con pochi addetti in maggioranza familiari, grandemente flessibili, capaci di adeguarsi rapidamente al mercato, sempre più orientate all esportazione. 1) La mezzadria, di per sé preferibile alla condizione dei braccianti delle pianure del nord o a quelle dei contadini poveri del sud, è il sistema in cui il proprietario metteva il terreno e la famiglia contadina il lavoro, mentre le spese e il raccolto venivano divisi tra le due parti. Il proprietario ricopriva un ruolo attivo nella direzione dell azienda agricola; il rapporto che aveva con il mezzadro era diretto e paternalistico. La famiglia mezzadrile non viveva in centri urbani, ma in una casa colonica sul podere. Essa era in genere multipla e verticale, nel senso che più coppie sposate e più di due generazioni vivevano sotto lo stesso tetto. Il vergaro, cioè il maschio, generalmente il più anziano, era il capofamiglia e comandava in modo patriarcale e autoritario, mentre sua moglie all interno della casa esercitava un potere notevole specie sulle altre donne della famiglia che erano sempre ai suoi ordini. L impostazione del rapporto lavorativo distrettuale, particolarmente nel momento della produzione, ha risentito di tutto il retroterra culturale costruito in anni di collaborazione mezzadrile. Infatti le famiglie mezzadrili avevano sviluppato un ricco reticolo di aiuti reciproci; ad esempio nei momenti cruciali del calendario agricolo, come la trebbiatura del grano, si assisteva a una scambievole prestazione di lavoro straordinario da parte dei vicini per accelerare le operazioni agricole. 2) La presenza di un artigianato di indiscussa abilità e professionalità, che si dedica a una produzione caratteristica della zona, costituisce una tradizione culturale antropologica particolarmente vivace, frutto di competenze speciali, originarie, sedimentate attraverso percorsi storici e culturali che costituiscono il patrimonio intangibile su cui si fonda la competitività del distretto e delle sue imprese. 3) Il familismo. In Italia la famiglia era ed è importantissima, sia come metafora sia come realtà. In termini di metafora essa è onnipresente, dalla famiglia dei massoni (loggia), alla famiglia criminale organizzata della mafia etc Come realtà la famiglia italiana aveva radici profonde, era tradizionale, patriarcale, cattolica. Per essa avere molti figli era considerato un segno di lungimiranza economica. Le generazioni più anziane continuavano ad occuparsi della terra, mentre mogli, fratelli, sorelle e cugini venivano coinvolti nei nuovi affari. Lavoro e famiglia venivano, così, saldamente legati in un clima di dinamismo economico, autosfruttamento e rapida mobilità sociale. Il diretto coinvolgimento della famiglia nel processo di industrializzazione, provato dal fatto stesso che molte unità produttive trovavano la loro prima (e talvolta anche definitiva) localizzazione in spazi sottratti all abitazione familiare, costituì un elemento decisivo per l affermazione del modello di imprenditorialità diffusa. Era, infatti, la famiglia colonica a compiere le scelte imprenditoriali fondamentali per la gestione dell azienda.

7 Il prosperare di tale sistema si deve anche al fatto che la tassazione delle piccole aziende fu tenuta al minimo, allo stesso modo delle verifiche fiscali. Le disposizioni di legge concernenti le attività industriali furono ampiamente ignorate così come fu ampiamente evaso il pagamento dei contributi sociali e previdenziali. La genesi della piccola e piccolissima azienda avviene pertanto dal retaggio mezzadrile che equivale all organizzazione aziendale; non era forse il vergaro (l imprenditore) ad organizzare risorse umane (familiari), risorse materiali e mezzi al fine della produzione e del lucro, con l appoggio del proprietario del terreno (banca)? Un altro ruolo importante è stato giocato dalle grandi fabbriche che, decentrando la produzione per ragioni strategiche, hanno permesso la formazione di piccole aziende, capaci poi di divenire indipendenti. Spinte verso il decentramento dalla esigenza di combattere la spinta unitaria sindacale degli anni Settanta, le grandi aziende hanno contemporaneamente trovato la strada più facilmente percorribile per orientarsi verso la flessibilità produttiva, dando spazio a nuove realtà aziendali satellitari. Dal primordiale decentramento è partito, in molti casi, il successivo sviluppo industriale che ha portato alla formazione di una struttura distrettuale. Ė emblematico l esempio dell intuizione di Aristide Merloni (il metalmezzadro), la cui grande azienda creata dal niente è divenuta il trait d union tra la dimensione economica e quella socio-culturale. Egli, infatti, invece di concentrare la lavorazione in un unico luogo, suddivise l azienda in vari luoghi di produzione, così che le maestranze non subirono il trauma di un processo di spaesamento, ma, rimanendo nei luoghi di residenza, all uscita dal lavoro proseguivano con il loro stile di vita e si dedicavano alle operazioni agricole nei terreni divenuti di loro proprietà o lavoravano in proprio in piccoli laboratori da cui sono sorte delle aziende che poi hanno potuto rendersi indipendenti, dando forma al distretto della meccanica di Fabriano, che ha raggiunto un ragguardevole standard di vita. Ciò, in anni di grande rivendicazione sindacale, permise all azienda di non subire scioperi o sabotaggi facendola crescere fino a diventare il più grande polo europeo dell industria del bianco (elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi etc...). La crescita industriale non fu dunque confinata alle principali città, ma si diffuse in piccoli centri e nelle campagne limitrofe. Industrializzazione diffusa e campagna urbanizzata sono termini usati per descrivere questo modello di crescita economica. Città e campagna moltiplicarono i loro legami reciproci, fino a formare dei veri e propri distretti produttivi, in genere specializzati in un singolo ramo della produzione (calzature, occhiali, cappelli, ceramiche, oreficeria, prodotti elettromeccanici etc ) Questo tipo di produzione si è storicamente distinto per la capacità di autogenerare le risorse umane, finanziarie e cognitive necessarie alla propria riproduzione nel tempo e per una modalità di funzionamento tradizionale, governata da una logica prevalentemente chiusa, con la catena del valore

8 collegata all esterno solamente nella fase iniziale e finale (approvvigionamento delle materie prime e collocamento dell output finale). I distretti produttivi italiani nel loro complesso offrono una straordinaria testimonianza della vitalità imprenditoriale di una parte significativa del Paese, delle sue radicate capacità artigianali e del suo talento per la progettazione e l esportazione, il cosiddetto Made in Italy. Molto importante è stata poi la presenza sui luoghi interessati di scuole specializzate nei settori di produzione, capaci di formare nuove risorse umane e di approfondire le conoscenze sulla materia in questione contribuendo allo sviluppo tecnologico. Oltre a fornire manodopera specializzata, gli istituti scolastici hanno contribuito a diffondere i germi di una imprenditoria diffusa, basata sulle competenze acquisite, che ha trovato sbocco nelle potenzialità di crescita dei distretti. Non va trascurata l importanza che, come luogo di ricerca e conseguentemente fonte di innovazione, le scuole suddette hanno sostenuto, e sostengono, nella dinamica produttiva delle zone interessate. Il punto di forza delle imprese italiane era ed è costituito dalle innovazioni incrementali, vale a dire non scoperte rivoluzionarie, ma piccoli miglioramenti e costanti modifiche del prodotto per renderlo più gradevole o più funzionale. In virtù di esse, per il design, per la qualità del prodotto, per la vicinanza delle imprese ai mercati-chiave europei, che conferivano all imprenditoria italiana una migliore reputazione di puntualità, la concorrenza globale, non solo quella asiatica, è stata efficacemente contenuta. La crescita prodigiosa che ha caratterizzato le Marche in particolare negli anni 70 e 80 non è il frutto di pure coincidenze, ma la sapiente combinazione di creatività e capacità di impresa spesso presente nella figura del mezzadro che si è trasformato in artigiano e poi in piccolo industriale. È nato così il modello Marchigiano in cui gli elementi storici, sociali e culturali, peculiari del territorio della regione Marche, si sono fusi con le trasformazioni economiche dando vita ad una realtà di piccolissime, piccole e medie imprese -il cui sviluppo si è diffuso in tutto il territorio-, raccolte in distretti monoproduttivi industriali, evitando sacche di aree marginali. Le aziende, a volte micro, poco più grandi di botteghe artigiane, spesso in un rapporto di stretta dipendenza con altre aziende di dimensioni maggiori per le quali producevano componenti o semilavorati, hanno prosperato non solo grazie alla loro laboriosità e alla loro inventiva, ma anche alla facilità con cui evadevano il fisco e impiegavano spesso manodopera precaria a basso costo assunta in nero. In queste reti imprenditoriali era ancora più pronunciato che nelle medie e grandi aziende il ruolo egemone di una famiglia, che da estesa e verticistica, diveniva sempre più nucleare, e in cui la moglie dell imprenditore condivideva la proprietà dell impresa e l impegno nella stessa. L imprenditore di sesso maschile, spesso fondatore dell azienda, tendeva a conservare il controllo anche dopo la pensione, spesso fino alla morte. La forte relazione simbiotica tra piccola impresa e famiglia nucleare è stata un potentissimo strumento di propulsione

9 economica. I distretti industriali canonici proliferano maggiormente nei settori tradizionali, nel manifatturiero o in quelli a basso contenuto tecnologico. In sostanza si può parlare di un percorso lungo il quale, in modi diversi, le comunità hanno potuto sviluppare capacità commerciali, tecniche, imprenditoriali, tali da intessere una rete di relazioni che sono il sostrato naturale dei distretti produttivi italiani, visti come entità socioeconomiche; infatti la caratteristica di questi distretti è costituita dal fatto che queste conoscenze non contraddistinguono un gruppo particolare in seno alla comunità, ma sono diffuse in tutti gli strati sociali. Il fortissimo radicamento territoriale del distretto non è limitato alla sola attività produttiva, ma è diventato un fatto sociale, creando un capitalismo molecolare o paesano adeguato alle imprese che lo hanno generato. Il distretto si distingue anche per il coinvolgimento nella stessa missione, di imprenditori, lavoratori e comunità locali, ciascuno per le proprie competenze, tutti insieme uniti da un forte spirito di appartenenza al proprio territorio, caratterizzato da un considerevole livello di qualità della vita. Il sistema dei distretti e in particolare il modello marchigiano è il sistema economico a tuttora considerato tra i più interessanti ed esportabile in molte realtà di tutto il mondo. Oggi le regioni a economia diffusa, come le Marche e il Veneto, stanno perdendo la loro dimensione distrettuale canonica, cioè la dimensione che individuava ben definiti ambiti territoriali a specializzazione monosettoriale, e a prevalente localizzazione di imprese di piccole dimensioni. Ossia la rappresentazione nel territorio delle localizzazioni industriali appare non più a pelle di leopardo -quella tipica dei distretti-, ma piuttosto come un fitto reticolo di interrelazioni plurisettoriali che inglobano e travalicano i confini dei tradizionali distretti monosettoriali. Di conseguenza è stato introdotto il concetto di distretto plurisettoriale. Con l aiuto dei governi regionali le aziende distrettuali, per l esaurimento dell offerta di lavoro operaio ad ampio contenuto di conoscenze cumulate (dato il livello di benessere raggiunto dalla popolazione), effettuano una delocalizzazione produttiva (le attività di minor valore sono spostate all estero, dove il costo del lavoro consente significative riduzioni di spese), sempre e quando tali delocalizzazioni garantiscano comunque il mantenimento dei livelli occupazionali regionali. La prima esperienza di clonazione di un distretto è stata fatta a Lipetzk, una regione autonoma della Repubblica russa a circa 600 km da Mosca. In tale realtà, che ai tempi dell URSS era il maggior centro di produzione della meccanica pesante, è stato realizzato da parte del gruppo Merloni di Fabriano uno stabilimento per la produzione di lavatrici. Nel corso dello sviluppo di tale iniziativa imprenditoriale è apparso subito necessario riprodurre in tale località un sistema di supporto e quindi l esigenza di ricreare il distretto della meccanica. A tal fine la regione Marche ha sottoscritto un protocollo d intesa con il governo della regione russa e ha elaborato progetti di insediamento e di

10 collaborazione in vari settori: meccanica, calzature, agroalimentare, tessile, abbigliamento etc Per dare corpo a tali progetti si è ottenuto uno specifico finanziamento nazionale da parte del Ministero delle Attività Produttive. Successivamente è stato approvato e finanziato un progetto TACIS per la realizzazione in loco di un centro servizi per la meccanica che è stato totalmente messo in atto dagli imprenditori locali con il supporto tecnico e gestionale del centro servizi regionale Meccano. Attualmente in quest area sono interessate e coinvolte oltre 256 aziende marchigiane del settore della meccanica, 18 aziende del settore tessile e abbigliamento, 6 aziende calzaturiere, 5 aziende del legno e 3 aziende dell agroalimentare. Iniziative analoghe si stanno sviluppando in Brasile dove, anche con un cospicuo apporto finanziario della banca interamericana, nasceranno un centro servizi per il legno in un area dell Amazzonia e un centro servizi per la meccanica nell area di San Paolo. Pure nell area dei Balcani è stato avviato un progetto analogo. Realizzazioni simili sono avvenute per i settori della calzatura e del mobile anche in Messico, dove si sta incrementando un numero di società miste marchigiane/messicane, con particolare successo del comparto accessori per la calzatura. In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un rafforzamento del sistema distrettuale nel centro sud, con la crescita dei distretti agroalimentari che si affiancano ai tradizionali distretti manifatturieri del centro nord. La necessità di mantenere e valorizzare il concetto di distretto produttivo agroalimentare così come si è sviluppato implica, però, di non stravolgere o sradicare l anima del distretto, poiché essa è indissolubilmente legata al territorio. Cosa sta facendo l Associazione per i distretti? Ha costituito un consorzio con l Università di Pisa per il trasferimento tecnologico a favore delle piccole e piccolissime imprese in tempi rapidi e a costi contenuti, mentre in campo internazionale ha incentivato un protocollo di cooperazione tecnica con l università di Bologna, l università la Plata di Buenos Aires e l ACIA, associazione del commercio italo-argentino. Attraverso l UNIDO, un agenzia dell ONU, ha promosso progetti congiunti fra i distretti italiani e i distretti indiani, con la possibilità di creare joint ventures. Con i distretti francesi c è una forma di collaborazione per unire la loro ricerca scientifica alla nostra produzione. L obiettivo dell associazione dei distretti italiani è quello di trasformare l associazione in una federazione, al fine di acquisire uno status giuridico che apporterebbe benefici di natura fiscale, amministrativa e finanziaria da destinare alla ricerca e allo sviluppo. Prof. Giorgio Donati

11 Los Distritos Productivos desde el origen hasta la deslocalización. La peculiaridad italiana. El modelo de la Región Marche. La dinámica de la industria en la cultura occidental se basa, históricamente, en dos fundamentales modalidades de organización y producción de los bienes: por un lado la producción en masa, que prevé que la gran empresa utilice máquinas y tecnologías estándar para una producción en serie, por otra parte, la especialización flexible, articulada en pequeñas unidades organizativas que están en condiciones de fabricar bienes en pequeños lotes, con características casi artesanales. En los años ochenta del siglo pasado se planteó el límite del tipo de producción en masa, centrado en el trabajo serial, y del rol fundamental de la cadena de montaje, vinculado a las dinámicas de las grandes industrias. La realidad pedía producciones flexibles, más articuladas y diferenciadas, con una elevada calidad de base que crea el desarrollo tecnológico. Llegados a este punto, los distritos se convirtieron en objeto de gran consideración. En la segunda mitad del siglo XIX, el economista inglés Alfred Marshall fue el primero en identificar y analizar un sistema productivo local que se refería a las industrias textiles del Lancashire y a aquellas metalúrgicas de Sheffield, en Inglaterra, con la producción de la seda en Lyón, en Francia, con la producción de productos manufacturados en Solingen, en Alemania, con la producción de la lana en Prato, en Italia. Este tipo de producción la denominó cluster, puesto que se trataba de un tipo de organización industrial centrado en las producciones artesanales, en estructuras específicas, con una investigación constante de innovación y en zonas geográficas de extensión limitada. Para Marshall el cluster (distrito industrial) representa una modalidad eficaz de organizar la producción, alternativa a la de la gran industria, puesto que hace que las empresas mantengan pequeñas dimensiones sin renunciar a las ventajas que derivan de la división del trabajo y de la especialización productiva. En efecto, si el proceso productivo resulta descomponible en diferentes fases que pueden ser llevadas a cabo por diferentes actores, en el distrito la división del trabajo puede tener lugar entre diferentes y pequeñas empresas, autónomas bajo el punto de vista jurídico y económico, las cuales se especializan de manera espontánea, cada una en una diferente fase de la producción, utilizando máquinas y conocimientos especializados, que ponen a disposición de las otras empresas activas en el territorio. Los distritos productivos italianos se pueden asimilar, en parte, a la forma del distrito de Marshall o cluster, puesto que se desarrollan en una economía de aglomeración presente en ellos. Sin embargo, mientras los clusters se caracterizan por haberse desarrollado cerca de una típica fuente de producción (de minerales) o de una gran industria preexistente o bien de ambas, los distritos productivos italianos han nacido espontáneamente por factores sociológicos. Esos, en efecto, dependen de las pertenencias de las empresas a un territorio

12 circunscrito a pocos ayuntamientos colindantes, con una connotación física, social y cultural muy determinada. El distrito italiano resulta, de tal modo, formado por un gran número de empresas, mayormente de pequeñas y a veces pequeñísimas dimensiones, caracterizadas normalmente por ser de propiedad familiar y por la participación directa del empresario y de su familia en la actividad productiva. Entre estas empresas se delinea un original sistema de relaciones (sobretodo verticales, entre las empresas complementares de la hilera) que combina cooperación y competencia de mercado. Esta mezcla de cooperación y competencia entre las empresas del distrito: a) mantiene extremadamente flexible el sistema de producción; b) contribuye a bajar los costes de producción; c) estimula la continua innovación también a través de los procesos de imitación mutua; d) permite una coordinación de las actividades complementarias; e) genera economías exteriores que pueden ser compartidas, puesto que son de interés común. La capacidad de intercambio de conocimientos e informaciones en ámbitos territoriales restringidos, entre actores que se conocen personalmente, permite una ventajosa cooperación ínter empresarial. El distrito productivo italiano es un lugar territorial donde las economías de escala, típicas de la gran empresa, venían validamente sustituidas por las economías exteriores, es decir por economías derivadas del contexto económicosocial de algunos territorios privilegiados. En estos territorios, la abundante oferta de factores contextuales de crecimiento (artesanado de calidad; mano de obra de alto contenido de conocimiento acumulados; espíritu empresarial difundido; encendida competencia, pero también colaboración entre las empresas; continua innovación del procedimiento; rápida circulación de las informaciones; alto tipo de imitación; etc. ) compensaba las ventajas de la integración vertical de la hilera productiva propia de las grandes empresas, preservando al mismo tiempo la calidad de la vida. Los característicos distritos productivos italianos han transformado un País pobre, proletario, basado en la economía agrícola, destruido por haber sido teatro de la segunda guerra mundial, en la sexta o quinta economía más industrializada del mundo. Para comprender el origen y la peculiaridad de este fenómeno casi milagroso, hace falta remontar al estado de la socio-economía italiana a finales de la segunda guerra mundial. Esa era principalmente agrícola, pero diferenciada en tres macro- regiones: I) en el Sur de la península la economía era totalmente agrícola, atrasada, basada en los braceros y en el latifundio, con los encargados que vivían en condiciones precarias en aglomeraciones urbanas derruidas desde donde salían cada mañana para ir al trabajo en la parte del feudo

13 que les correspondía, y volviendo a casa al atardecer, a veces desde grandes distancias; II) en el norte-oeste, en el triángulo comprendido entre Milán, Turín y Génova, estaba concentrada la casi totalidad de la industria pesada y ligera de la Nación; III) en el centro y noreste, en esta tercera Italia, estaba vigente el sistema agrícola de la aparcería. Gracias al Plan Marshall empezó la reconstrucción del País y de sus infraestructuras y por lo tanto para muchas empresas italianas se abrieron nuevos horizontes, tanto por la afluencia de máquinas como por el Know How americano. Con la industrialización de Ford (la producción automatizada de los bienes de consumo) empezó la mecanización de las campañas. Esa, junto con los altos niveles de paro de los años 50, permitió que la demanda de trabajo superara con creces la oferta, manteniendo bajo el coste del trabajo y de los salarios y creando una excedencia de mano de obra que originó los fenómenos de emigración tanto interna como exterior al País, conllevando una mezcla sin precedentes de la población italiana. La elevada productividad, la ausencia hasta finales de los años 60 de una significativa organización sindical, la estabilidad monetaria, la falta de control fiscal en el mundo de los negocios, el mantenimiento de un tipo de descuento favorable por parte del Banco de Italia, fueron elementos que ayudaron a crear las condiciones para la acumulación del capital y la siguiente inversión en la industrialización. Así, entre 1958 y 1963 se asistió al comienzo de una revolución destinada a dar la vuelta al sistema social italiano. En menos de dos decenios, Italia dejo de ser un País con fuertes componentes campesinas, convirtiéndose en una de las Naciones más industrializadas del mundo occidental. El paisaje rural y urbano, por lo tanto, así como las viviendas de sus habitantes y su manera de vivir, cambiaron radicalmente. Italia estuvo en la primera línea de la expansión y la integración económica de Europa. En el centro y en el noreste del País, el desarrollo social y económico fue radicalmente diferente respecto a aquel que se verificó en el triángulo industrial Turín-Milán-Génova o en el Sur. Las familias aparceras, convertidas en propietarios de los terrenos a partir de los años 50 gracias a una política de apoyo por parte del Estado, no lograron por eso una nueva prosperidad, a causa de los bajos precios de los productos en el mercado y de la falta de capitales necesarios para realizar las indispensables mejoras. Esas, sin embargo, no abandonaron las nuevas propiedades, sino intentaron diversificar las fuentes de renta. La generación más anciana siguió ocupándose de la tierra para satisfacer las necesidades familiares, más que producir para el mercado, mientras que los jóvenes se marcharon para buscar la suerte en otro lugar, en los centros urbanos. Ellos encontraron trabajo

14 primero como obreros y artesanos, sin embargo, en seguida, decidieron independizarse y, para sobrevivir y crecer, estos jóvenes artesanosindustriales de principios de los años 60 confiaron en los recursos y en la experiencia de su propia familia, alcanzando unos resultados sorprendentes. Se puede deducir, entonces, que la condición de aparcero haya sido el detonante del fenómeno de los distritos, justo por la elevada propensión a ser empresarios, mostrada por los labradores de estas tierras. En efecto, el legado de la institución de la aparcería, la presencia de un artesanado característico y el vínculo de solidariedad familiar son las tres condiciones esenciales de este éxito y crean la condición necesaria a la industrialización de la Tercera Italia, caracterizada por la difusión de fábricas con pocos encargados en su mayoría familiares, extremadamente flexibles, capaces de adecuarse rápidamente al mercado y cada vez más orientadas a la exportación. 1) La aparcería, de por sí preferible a la condición de los braceros de las llanuras del Norte o a aquellas de los pobres campesinos del Sur, es el sistema en el que el propietario ponía el terreno y la familia campesina el trabajo, mientras que los gastos y la cosecha se repartían entre las dos partes. El dueño desarrollaba un papel activo en la dirección de la empresa agrícola; la relación que tenía con el aparcero era directa y paternalista. La familia aparcera no vivía en centros urbanos, sino en una casa de labranza en la finca. Esa era, generalmente, múltiple y vertical, en el sentido de que más de un matrimonio así como más de dos generaciones vivían bajo el mismo techo. El vergaro, es decir el varón, generalmente el más anciano, era el cabeza de familia y mandaba de forma patriarcal y autoritaria, mientras que su mujer, en el interior de la casa, ejercía un poder notable, sobretodo sobre las otras mujeres de la familia que siempre estaban a sus órdenes. El enfoque de la relación laboral en los distritos, especialmente en el momento de la producción, se ha visto influenciado por el bagaje cultural construido durante años de colaboración aparcera. En efecto, las familias aparceras habían desarrollado una amplia red de ayudas mutuas; por ejemplo, en los momentos claves del calendario agrícola, como la trilladura del trigo, se asistía a intercambios de prestaciones laborales extraordinarias por parte de los vecinos para acelerar las operaciones agrícolas. 2) La presencia de una artesanía de indiscutida habilidad y profesionalidad, que se dedica a una producción característica de la zona, constituye una tradición cultural antropológica especialmente vivaz, fruto de conocimientos específicos, originarios, sedimentados a través de recorridos históricos y culturales que constituyen el patrimonio intangible en el cual se fundamenta el espíritu competitivo del distrito y de sus empresas. 3) El vínculo de solidaridad familiar. En Italia la familia era y sigue siendo importantísima, sea como metáfora sea como realidad. En términos de

15 metáfora, esa es omnipresente, desde la familia de los masones (la logia), a la familia criminal organizada de la mafia etc. Como realidad, la familia italiana tenía raíces profundas, era tradicional, patriarcal y católica. Tener muchos hijos se consideraba como un signo de proyección económica. Las generaciones más ancianas seguían ocupándose de la tierra, mientras que mujeres, hermanos, hermanas y primos eran involucrados en los nuevos negocios. Trabajo y familia, de este modo, se entrelazaban con fuerza en un clima de dinamismo económico, auto explotación y rápida movilidad social. El hecho de involucrar directamente a la familia en el proceso de industrialización, probado por el mismo hecho de que muchas unidades productivas encontraban su primera (y a veces también definitiva) localización en espacios sacados de la vivienda familiar, constituyó un elemento clave para la afirmación del modelo empresarial difundido. Era, en efecto, la familia labradora la que cumplía las elecciones empresariales fundamentales para la gestión de la empresa. El hecho de que este sistema haya prosperado, se debe también a que la tasación de las pequeñas empresas fue mantenida al mínimo, así como las comprobaciones fiscales. Las disposiciones legales concernientes a las actividades industriales fueron ampliamente ignoradas así como se evadió ampliamente el pago de las contribuciones sociales y de la seguridad social. La génesis de la pequeña y pequeñísima empresa surge de la cultura aparcera que equivale a la organización empresarial. No era, en el fondo, el vergaro (el empresario) él que organizaba los recursos humanos (familiares), los recursos materiales y los medios finalizados a la producción y al lucro, con el apoyo del propietario del terreno (banca)? Otro papel importante ha sido el jugado por las grandes fábricas que descentrando la producción por razones estratégicas, han permitido la formación de pequeñas empresas, capaces luego de convertirse en independientes. Empujadas hacia el descentramiento por la exigencia de combatir el empuje unitario de los sindicados de los años setenta, las grandes empresas han contemporáneamente encontrando el camino más fácil de recorrer para orientarse hacia la flexibilidad productiva, dando espacio a nuevas realidades empresariales tipo satélites. Del primordial descentramiento arrancó, en muchos casos, el siguiente desarrollo industrial que ha llevado a la formación de una estructura en distritos. Es emblemático el ejemplo de la intuición de Aristide Merloni (el metalaparcero), cuya gran empresa surgida de la nada se ha convertido en punto de unión entre la dimensión económica y aquella socio-cultural. Él, en efecto, en lugar de concentrar la producción en un único sitio, dividió la empresa en diferentes lugares de producción, así que los trabajadores no padecieron el trauma de un proceso de rebote, sino, quedándose en los lugares donde residían, a la salida del trabajo seguían con su estilo de vida y se dedicaban a

16 las operaciones agrícolas en los terrenos ya de su propiedad, o bien trabajaban por su cuenta en pequeños laboratorios desde los cuales han surgido aquellas empresas que luego han podido independizarse, dando forma al distrito de la mecánica de Fabriano, que ha alcanzado un considerable estándar de vida. Eso, durante años de gran reivindicación sindical, permitió a la empresa no padecer huelgas o sabotajes, haciéndola crecer hasta convertirla en el más grande polo europeo de la industria del blanco (electrodomésticos: lavadoras, frigoríficos etc. ). El crecimiento industrial no fue, por lo tanto, confinado a las principales ciudades, sino se difundió en pequeños centros y en las campañas colindantes. Industrialización difundida y campaña urbanizada son términos usados para describir este modelo de crecimiento económico. Ciudad y campaña multiplicaron sus lazos mutuos, hasta formar auténticos distritos productivos, en general especializados en un único ramo de la producción (calzado, gafas, sombreros, cerámicas, orfebrería, productos electromecánicos etc...). Este tipo de producción se ha distinguido históricamente por la capacidad de auto generar recursos humanos, financieros y cognitivos necesarios a la propia reproducción en el tiempo y por una modalidad de funcionamiento tradicional, gobernada por una lógica mayoritariamente cerrada, con la cadena del valor conectada al exterior solo en la fase inicial y final (abastecimiento de materias primas y colocación del output final). Los distritos productivos italianos en su conjunto ofrecen un testigo extraordinario de la vitalidad empresarial de una parte significativa del País, de sus radicadas capacidades artesanales y de su talento a la hora de realizar proyectos y exportar, el llamado Made in Italy. Muy importante, además, ha sido la presencia en lugares interesados, de escuelas especializadas en los sectores de producción, capaces de formar nuevos recursos humanos, de profundizar en los conocimientos acerca de la materia en cuestión y contribuyendo al desarrollo tecnológico. Además de proveer a la mano de obra especializada, las instituciones escolares han contribuido a difundir los gérmenes de un extendido espíritu empresarial, basado en los conocimientos adquiridos, que ha encontrado su salida en las potencialidades de crecimiento de los distritos. No tiene que pasar desapercibida la importancia que, como lugar de investigación y, por lo tanto, fuente de innovación, las citadas escuelas han representado y siguen representando, en la dinámica productiva de las zonas interesadas. El punto de fuerza de las empresas italianas estaba y está constituido por las innovaciones incrementales, es decir, no por descubrimientos revolucionarios, sino por pequeñas mejoras y constantes modificaciones del producto con la finalidad de hacerlo más agradable o más funcional. En virtud de esas mejoras, por el diseño, por la calidad del producto, por la cercanía de las empresas a los mercados-clave europeos, que otorgaban al

17 empresariado italiano una mejor reputación de puntualidad, la competencia global, no solo aquella asiática, ha sido eficazmente contenida. El crecimiento prodigioso, que ha caracterizado la Región Marche en concreto en los años 70 y 80, no es el fruto de puras coincidencias, sino la sabia combinación de creatividad y espíritu empresarial a menudo presente en la figura del aparcero que se ha convertido en artesano y luego en pequeño industrial. Así ha nacido el modelo marchigiano (de la Región Marche) en el cual los elementos históricos, sociales y culturales, peculiares del territorio de la Región Marche, se han fundido a las transformaciones económicas, dando vida a una realidad de pequeñísimas, pequeñas y medianas empresas cuyo desarrollo se ha difundido en todo el territorio recogidas en distritos mono productivos industriales, evitando bolsas de áreas marginales. Las empresas, a veces micro, un poco más grandes de talleres artesanos, a menudo en relación de estricta dependencia con otras empresas de dimensiones mayores para las cuales producían componentes o productos semi-trabajados, han prosperado no solo gracias a la laboriosidad y a su inventiva, sino también a la facilidad con la que evadían la Hacienda pública y empleaban a menudo mano de obra precaria y a bajo coste, trabajando en negro. En estas redes empresariales era aún más evidente, en las medianas y grandes empresas, el papel hegemónico de la familia, que, de extendida y piramidal, se había convertido en algo cada vez más nuclear, compartiendo la mujer del empresario la propiedad de la empresa y el compromiso con la misma. El empresario varón, a menudo fundador de la empresa, tenía la tendencia a conservar el control también después de su jubilación, a menudo hasta su fallecimiento. La fuerte relación simbiótica entre una empresa pequeña y la familia nuclear ha sido un muy poderoso instrumento de propulsión económica. Los distritos industriales canónicos proliferan mayoritariamente en los sectores tradicionales, en el manufacturero o en aquellos de bajo contenido tecnológico. En sustancia, se puede hablar de un recorrido a lo largo del cual, en maneras diferentes, las comunidades han podido desarrollar capacidades comerciales, técnicas, empresariales, capaces de tejer una red de relaciones que constituyen el substrato natural de los distritos productivos italianos, vistos como entidades socio-económicas; en efecto, la característica de esos distritos está constituida por el hecho de que estos conocimientos no caracterizan a un grupo en concreto en el seno de la comunidad, sino están difundidos en todas las capas sociales. El fortísimo arraigamiento territorial del distrito no está limitado solo a la actividad productiva, sino se ha convertido en un hecho social, creando un capitalismo molecular o lugareño adecuado a las empresas que lo han generado. El distrito se diferencia también por el hecho de involucrar en la misma misión a empresarios, trabajadores y comunidades locales, cada uno con sus conocimientos, todos juntos y unidos por el fuerte espíritu de

18 pertenencia a su territorio, caracterizado por un notable nivel de calidad de la vida. El sistema de los distritos y, en concreto, el modelo marchigiano es el sistema económico al día de hoy considerado entre los más interesantes y exportables a muchas realidades de todo el mundo. Hoy las Regiones de economía difundida, como Marche y Veneto, están perdiendo su tradicional dimensión de distrito, es decir aquella dimensión que individuaba concretos ámbitos territoriales con especializaciones monosectoriales y con una prevaleciente localización de empresas de pequeñas dimensiones. En otras palabras, la representación en el territorio de las localizaciones industriales ya no se manifiesta irregularmente en el territorio lo que era típico de los distritos, sino, más bien, como un tupido retículo de interrelaciones plurisectoriales que engloban y superan los confines de los tradicionales distritos mono-sectoriales. En consecuencia, ha sido introducido el concepto de distrito plurisectorial. Con la ayuda de los Gobiernos regionales, las empresas con carácter de distrito, a causa del agotamiento de la oferta de trabajo obrero de amplio contenido de conocimientos acumulados (dado el nivel de bienestar alcanzado por la población), efectúan una deslocalización productiva (las actividades de menor valor se desplazan al extranjero, donde el coste del trabajo permite importantes reducciones de gastos), siempre y cuando estas deslocalizaciones garanticen de todas formas el mantenimiento de los niveles ocupacionales regionales. La primera experiencia de clonación de un distrito se ha realizado en Lipetzk, una Región autónoma de la República rusa a casi 600 Km. de Moscú. En esa realidad, que en los tiempos de la URSS era el mayor centro de producción de la mecánica pesada, ha sido realizado por parte del grupo Merloni de Fabriano un establecimiento para la producción de lavadoras. A lo largo del desarrollo de esta iniciativa empresarial, ha parecido en seguida necesario reproducir en dicha localidad un sistema de soporte y, por lo tanto, se ha manifestado la exigencia de recrear el distrito de la mecánica. Con esta finalidad, la Región Marche ha suscrito un protocolo de acuerdo con el gobierno de la Región rusa y ha elaborado proyectos de asentamiento y de colaboración en varios sectores: mecánica, calzado, agro alimentar, textil, confección etc. Para llevar a cabo esos proyectos, se ha obtenido una específica financiación nacional por parte del Ministerio de las Actividades Productivas. Sucesivamente, ha sido aprobado y financiado un proyecto TACIS para la realización in situ de un centro de servicios para la mecánica que ha sido totalmente llevado a la práctica por los empresarios locales con el soporte técnico y de gestión del centro de servicios regionales Meccano. Actualmente, en esta área, están interesadas e involucradas más de 256 empresas de Marche del sector de la mecánica, 18 empresas de textil y confección, 6 empresas de calzado, 5 de madera y 3 de agro alimentar.

19 Iniciativas análogas se están llevando a cabo en Brasil, donde, gracias también a una conspicua aportación financiera por parte del Banco Interamericano, nacerá un centro de servicios para la madera en un área de Amazonas y un centro de servicios para la mecánica en el área de Sao Paolo. Asimismo, también en el área de los Balcanes, ha sido puesto en marcha un proyecto análogo. Realizaciones semejantes han sido llevadas a cabo por los sectores del calzado y del mueble también en Méjico, donde se está incrementando un número de sociedades mixtas, de Marche y de Méjico, con un éxito especial en el sector de los accesorios para calzado. En esos últimos años, estamos asistiendo a un reforzamiento del sistema de distritos en el centro sur, con el crecimiento de los distritos agro alimentarios que van a aunarse a los tradicionales distritos manufactureros del centro norte. La necesidad de mantener y valorizar el concepto de distrito productivo agro alimentario tal como se ha desarrollado, implica, sin embargo, que no se altere o desarraigue el alma del distrito, puesto que esa está indisolublemente ligada al territorio. Qué está haciendo la Asociación para los distritos? Ha constituido un Consorcio con la Universidad de Pisa para el traslado tecnológico en favor de las pequeñas y pequeñísimas empresas, en tiempos rápidos y costes contenidos, mientras que, en el campo internacional, ha promovido un protocolo de cooperación técnica con la Universidad de Bolonia, la Universidad la Plata de Buenos Aires y la ACIA, Asociación del Comercio Ítalo-Argentino. A través del UNIDO, una agencia de Naciones Unidas, ha promovido proyectos conjuntos entre los distritos italianos y los hindúes, con la posibilidad de crear joint ventures. Con los distritos franceses existe una forma de colaboración para aunar su investigación científica con nuestra producción. El objetivo de la Asociación de los distritos italianos es transformar la Asociación en una Federación, con la finalidad de adquirir un status jurídico que aportaría beneficios de naturaleza fiscal, administrativa y financiera destinada a la investigación y al desarrollo. Profesor Giorgio Donati

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